Dopo una quantità imprecisata di tamponi e un numero adeguato di dosi, finalmente Pelù, forse il testimonial pandemico più patetico di sempre, ha ottenuto uno strapuntino nel festival del grottesco e della propaganda di regime.
Il macchiettismo grottesco del povero Pelù, è uno degli aspetti più paradigmatici di quello che ci attende nei mesi a venire, ovvero il definitivo appiattimento del mondo dell'arte nei confronti della cupola oligarchica, di fatto proprietaria dell'intera filiera dell'industria culturale.
Nel momento in cui i prodotti artistici non sono più legati al possesso ma alla fruizione e i palcoscenici sono militarizzati per lasciare spazio solo ai personaggi più servili e affidabili, all'artista non rimane altro da fare che vendersi perinde ac cadaver all'industria dell'intrattenimento, l'unica oramai in grado di garantirgli denaro, visibilità e privilegi.
Pertanto prepariamoci ad assistere ad un florilegio di disgustosi episodi di prostituzione intellettuale e di patetiche marchette a beneficio del potere, da parte di artisti e pseudotali.
Oramai l'arte è stata completamente slegata dal talento. Conta soltanto il personaggio, opportunamente pompato dalla macchina propagandistica. Un ruolo fondamentale in tal senso sarà svolto dalle società di consulenza manageriale tipo McKinsey, vera e propria cinghia di trasmissione tra élite e influencer-artista (e politica).
La società di consulenza conosce i trend del futuro in quando partecipe o messa a conoscenza dei processi decisionali dei piani alti e li trasmette sotto forma di consigli ai propri clienti, in una sorta di profezia che si autoadempie.
Il pivot del futuro è l'influencer, il bersaglio d'elezione sono sempre i giovani.
Comunque se c'è qualcuno che conosce Pelù e gli vuole ancora bene, si affretti a dirgli qualcosa, perchè questo ha deciso di strafare e ora, dopo aver superato in scioltezza il ridicolo e il grottesco, sta sconfinando nel patetico spinto.

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