Gruppo I AM
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Per una visione sulla realtà a 360 gradi e per ricordare che ridefinire il Sé non ha nulla a che vedere con il miglioramento personale
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L'unica cosa che il risvegliato non può ottenere...
... è la serentà e di conseguenza la felicità stabile.

Per tutto il resto c'è Mastercard.
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Il tempo sta finendo...
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Aeterna memoria (latino)
Lo vuoi l'ossetto spirituale?
La visione del risvegliato rispetto a quello del liberato.
E gniente, una nuova buona giornata di sonno. 🦴🦴🦴🦴
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Capito perché un risvegliato è sempre lì come dov'era alla nascita?
Ha solo sollevato la testa dal fango, ma il suo stato è sempre quello e le sue sofferenze sono cicliche, in quello stato non se ne potrà liberare mai.
E' qui che, vita dopo vita, con il dolore ciclico e sempre più forte, capirà... STATO=STATICO, sempre lo stesso.
E gniente, bella foto.
Dimenticavo: money, money, money...
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Ma no....
RISVEGLIATI ED EMOZIONI: il giro del 99
Delle emozioni Dante Alighieri diceva che mai non empie la bramosa voglia e dopo 'l pasto ha più fame che pria (prima).
Per sua natura un risvegliato vive nella mancanza, non può essere felice e, mentre crede di essere sull'ESSERE, in realtà è solo sull'AVERE.
Se capire tu non puoi allora felicità, gioia e serenità chiamale, se vuoi, emozioni....
E questa storia di Oshio spiega bene le fisse dell'accumulare/mantenere/posssedere del risveglato.
Il giro del 99
C'era una volta un re molto triste che aveva un servo, e questo servo, come ogni servo di re triste, era molto felice. Ogni mattina svegliava il re e gli portava la colazione canticchiando allegre canzoncine dei trovatori. Aveva sempre un grande sorriso sul volto disteso, e nei confronti della vita un atteggiamento sereno e felice.
Un giorno il re lo fece chiamare.
«Paggio» disse «qual è il tuo segreto?» «Quale segreto, maestà?»
«Qual è il segreto della tua allegria?» «Non c'è nessun segreto, Maestà.»
«Non mentire, paggio. Ho fatto tagliare teste per offese meno gravi di una menzogna.»
«Non vi sto mentendo, maestà. Non ho nessun segreto.» «Perché sei sempre felice e allegro? Eh? Perché?»
«Signore, non ho motivo di essere triste. La vostra maestà mi onora consentendomi di servirvi. Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ci forniscono cibo e vestiti e inoltre la vostra maestà ogni tanto mi premia con qualche moneta e possiamo levarci qualche capriccio. Come potrei non essere felice?» «Se non mi dici subito il tuo segreto, ti farò decapitare sedu­ta stante» disse il re. «Nessuno può essere felice per le ragio­ni che hai detto.»
«Ma maestà, non c'è nessun segreto. Desidero soltanto com­piacervi, non vi sto nascondendo nulla.» «Và via, va' via prima che chiami il boia!»
Il servitore sorrise, fece una riverenza e uscì dalla stanza.

(continua ⬇️⬇️⬇️⬇️)
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(segue da post precedente)

Il re era come impazzito. Non riusciva a spiegarsi per quale motivo quel paggio fosse così felice vivendo di cose prese in prestito, indossando vestiti dismessi e nutrendosi degli avan­zi dei cortigiani.
Quando riuscì a calmarsi, chiamò il consigliere più saggio e gli raccontò la conversazione di quella mattina. «Perché quell'uomo è felice?»
«Ah, maestà, il fatto è che lui è fuori dal giro.» «Fuori dal giro?»
«Esatto.»
«E questo lo rende felice?»
«No, signore. Questo non lo rende infelice.»
«Vediamo se ho capito. Stare nel giro ti rende infelice?» «Esatto.»
«E lui non è dentro al giro.»
«Esatto.»
«E come ha fatto a uscire?»
«Non è mai entrato.» «Ma di che giro si tratta?» «Il giro del novantanove.»
«Non ci capisco niente davvero.»
«Potrai capirlo soltanto se lasci che te lo dimostri con i fatti.» «E come?»
«Facendo entrare il tuo paggio nel giro.»
«Sì, costringiamolo a entrare.»
«No, maestà. Nessuno può essere costretto a entrare nel giro.»
«Allora dovremo tendergli un tranello.»
«Non ce n'è bisogno, maestà. Se gli diamo l'opportunità, ci entrerà da solo.»
«Ma lui non si renderà conto che diventerà una persona infelice?»
«Sì, se ne renderà conto.»
«Allora non ci entrerà.» «Non potrà evitarlo.»
«Dici che si rende conto dell'infelicità che proverà entrando in quel ridicolo giro e ciononostante lo farà e non potrà più uscirne?»
«Esatto, maestà. Sei disposto a perdere un eccellente servito­re per poter capire la struttura del giro?» «Sì.»
«Molto bene. Stanotte verrò a prenderti. Devi avere prepa­rato una borsa di cuoio con dentro novantanove monete d'oro. Non una di più né una di meno.» «Che altro? Devo portarmi dietro anche le guardie?» «Soltanto la borsa di cuoio. Ci vediamo stanotte, maestà.» «Ci vediamo stanotte.»
Così fu. Quella notte il saggio andò a prendere il re. Insieme scesero di nascosto nei cortili del palazzo e si nascosero vici­no alla casa del paggio. E lì attesero l'alba.
Nella casa si accese la prima candela. Il saggio legò alla borsa di cuoio un foglietto con un messaggio che diceva:

"Questo tesoro è tuo.
È il premio
Per essere un brav'uomo. Goditelo
E non dire a nessuno
Come lo hai trovato."

Poi legò la borsa alla porta della casa del servo, bussò e tornò a nascondersi.
Quando il paggio uscì, il saggio e il re spiarono le sue mosse da dietro a un cespuglio.

(continua ⬇️⬇️⬇️⬇️)
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(segue da post precedente)

Il servitore aprì la borsa, lesse il messaggio, agitò il sacco e, sentendo il suono metallico provenire dall'interno, venne percorso da un brivido, strinse il tesoro contro il petto, si guardò intorno per controllare che nessuno lo osservasse e rientrò in casa.
Dall'esterno si sentì che il domestico stava sbarrando la porta, e i due spioni si affacciarono alla finestra per osserva­re la scena.
Il domestico aveva buttato per terra tutto quello che c'era sopra il tavolo, tranne una candela. Si era seduto e aveva svuotato il contenuto della borsa. I suoi occhi non credeva­no a quello che stavano vedendo. Era una montagna di monete d'oro!
Lui che non ne aveva mai toccata nessuna, adesso ne aveva un'intera montagna a sua disposizione. Il paggio le maneggiava tutte e le ammucchiava. Le accarez­zava e faceva in modo che la luce della candela le facesse risplendere. Le metteva insieme e le sparpagliava di nuovo, facendone tanti mucchietti.
E così, a forza di giocherellare, cominciò a fare dei muc­chietti di dieci monete. Un mucchietto di dieci, due muc­chietti di dieci, tre mucchietti, quattro, cinque, sei... E intanto faceva le somme: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta... Fino a formare l'ultimo mucchietto... ed era di nove monete!
Dapprima indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricer­ca della moneta mancante. Poi guardò per terra e alla fine la borsa.

«Non è possibile» pensò. Accostò l'ultimo mucchietto a tutti gli altri e vide che era più basso.
«Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato derubato! Ma­ledetti!»
Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto ai mobili... Ma non trovò quello che cercava.
Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchiet­to di monete splendenti gli ricordava che aveva novantano­ve monete d'oro. Soltanto novantanove.
«Novantanove monete. Sono tanti soldi» pensò. «Ma mi manca una moneta. Novantanove non è un numero com­pleto» pensava. «Cento è un numero completo, novanta­nove no.»
Il re e il suo consigliere guardavano dalla finestra. La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fronte corrugata e i lineamenti irrigiditi. Stringeva gli occhi e la bocca gli si con­traeva in una orribile smorfia, mostrando i denti.
Il servitore rimise le monete nella borsa e, guardando a destra e a sinistra per non farsi vedere da nessuno in casa, nascose la borsa in mezzo alla legna. Poi prese carta e penna e si sedette per fare i conti.
Per quanto tempo avrebbe dovuto mettere da parte i rispar­mi per comprarsi la moneta numero cento? Il servo parlava da solo, ad alta voce. Era disposto a lavorare sodo pur di ottenerla. Poi magari non avrebbe avuto più bisogno di lavorare. Con cento monete d'oro un uomo può smettere di lavorare. Con cento monete un uomo è ricco. Con cento monete si può vivere tranquilli. Finì di fare i suoi conti. Se lavorava e metteva da parte il salario e qualche extra che magari gli davano, nel giro di undici o dodici anni avrebbe avuto il necessario per com­prarsi un'altra moneta d'oro.
«Dodici anni sono tanto tempo» pensò.
Magari avrebbe potuto chiedere alla moglie di cercarsi un lavoro in paese per un po' di tempo. E dopotutto lui fini­va il lavoro a palazzo alle cinque del pomeriggio, per cui avrebbe potuto lavorare fino a sera e ricevere una paga extra.
Fece i conti: sommando il suo lavoro in paese e quello della moglie, in sette anni avrebbe potuto mettere insieme il denaro sufficiente.
Era troppo tempo!
Magari avrebbe potuto portare in paese il cibo che avanza­vano ogni sera e venderlo per poche monete. In effetti, meno mangiavano, più cibo avrebbero potuto vendere. Vendere, vendere...
Iniziava a fare caldo. Perché ci volevano tanti vestiti d'inver­no? Perché avere più di un paio di scarpe?
(continua ⬇️⬇️⬇️⬇️)
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(segue da post precedente)

Era un sacrificio. Ma con quattro anni di sacrifici avrebbe guadagnato la sua moneta numero cento. Il re e il saggio ritornarono a palazzo. Il paggio era entrato nel giro del novantanove...
Nei mesi successivi il servitore seguì i suoi piani così come li aveva concepiti quella notte. Una mattina, il paggio entrò nell'alcova reale sbattendo la porta, brontolando e di malu­more.
«Che cos'hai?» chiese il re con belle maniere.
«Non ho niente, non ho niente.»
«Prima, poco tempo fa, ridevi e cantavi sempre.»
«Faccio il mio lavoro, no? Che cosa pretende la vostra mae­stà? Pretende che faccia anche il buffone e il trovatore?» Non passò molto tempo che il re licenziò il servitore. Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.

Tutti quanti siamo stati educati con questa stupida ideologia. Ci manca sempre qualcosa per essere soddisfatti e soltanto se siamo soddisfatti possiamo godere di quello che possediamo e così si DEVE continuare a pensarla se ci si è risvegliati.
Ma il corpo emozionale, una volta che è stato accontentato, avrà poi più fame di pria.
Abbiamo imparato che la felicità arriva soltanto quando avremo completato quel che ci manca..., ma dato che ci manca sempre qualcosa, si ricomincia daccapo e non riusciamo mai a goderci la vita... è la condizione del risvegliato, quella dell'AVERE.

Così come il re licenziò il suo servitore, la vita darà il ben servito al risvegliato se non comincia a fare sul serio.

Il gioco dell'oca continua e, repetita iuvant:
Tempi difficili creano uomini forti.
Uomini forti creano tempi facili.
Tempi facili creano uomini deboli.
Uomini deboli creano tempi difficili.


E gniente, amen.
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Il giro del 99: PROLOGO
Questa storia è bella anche nel suo illustrare la caduta degli dèi, quella fase in cui il paggio non era felice, ma non era neanche infelice; cioè, come racconta la storia dell'uomo, prima di venire qui a sperimentare la conquista della felicità era in uno stato neutro.
Poi la caduta nell'infelicità per trovare la felicità.
E tra il dire e il MALE (del corpo emozionale), c'è di mezzo tanta sofferenza e l'illusione del risvegliato, che avendo appena messo solo la testa fuori dal fango, si ritiene già arrivato: egli è sull'AVERE e si crede di ESSERE...
Facciamo un esempio banale: il caffè è un eccitante ed ostacola la vitalità della ghiandola pineale. A chiunque stia venendo in testa che non ne potrei fare a meno oppure come farei senza e cose dl genere, allora HAI VINTO UN RIPARTI D'ACCAPO AL GIRO DELL'OCA DELLA VITA; per prenotare comporre 06 per chi chiama da fuori Roma. 🤣
Capito perchè non riesco a stancarmi di dire che
Tempi difficili creano uomini forti.
Uomini forti creano tempi facili.
Tempi facili creano uomini deboli.
Uomini deboli creano tempi difficili.

???????????????????
Yes, I know my way!
Pino Daniele
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